Il successo si conquista un piccolo passo alla volta.
Ci sono dei momenti in cui si pensa di aver dato tutto, di aver fatto ogni cosa era nelle proprie possibilità ma, visto che i risultati non migliorano, si pensa di essere arrivati al capolinea.
E’ finita, questo è il mio massimo.
E invece è ancora solo l’inizio…
Ci sono davvero tante aree da migliorare, molte volte queste aree sono enormi, sono veramente spaventose perché sono ovunque, sono dei piccoli margini, a volte davvero marginali, che però sono ovunque cercando nella nostra biologia.
Sono i Marginal Gains, i miglioramenti marginali.
Significa cambiare la visione di pensare “all’allenamento” ed iniziare a guardare in profondità, come se usassimo una lente di ingrandimento, o un microscopio.
Iniziare a concentrarsi su piccoli cambiamenti, puntando a migliorarli 1% alla volta. L’insieme di tanti piccoli granellini di sabbia, messi tutti insieme, farà scoprire di aver raggiunto un risultato enorme.

Su YouTube oltre 500 video
I Marginal Gains sono difficili da trovare?
No, assolutamente no.
Il mio lavoro è parlare con le persone, tante. Lo faccio con i ricercatori internazionali, gli allenatori, i tecnici, gli esperti nella Sport Science Academy ma anche con centinaia di atleti che seguo direttamente per nutrizione e allenamento in Maxima Performa.
I margini sono ovunque, anche perché molte volte ci si basa un po’ sulla routine, sul fatto di conoscere l’atleta dando per scontate tante cose che si conoscono già, senza mai aver verificato direttamente.
Un errore comune è quello di essere dei valutatori-allenatori, ovvero siamo noi a misurare un dato che poi andiamo ad allenare.
In ricerca sarebbe un chiaro bias, ovvero un errore dato da un pregiudizio (quello dove anche noi crediamo che gli allenamenti siano andati bene, ad esempio) che ne inficerebbe tutto lo studio.
Quando capita questo? Spesso.
Ogni volta che facciamo “un test”, una “valutazione”, “una prova tempi”, una “simulazione di gara” oppure quando vogliamo “vedere i miglioramenti”.
In ognuno di questi casi se siamo noi a valutare i progressi di noi stessi o di un nostro atleta, semplicemente sbagliamo.

Strategie che fanno la differenza
Immaginiamo un atleta di livello agonistico medio che si allena due ore tutti i giorni.
Dedica quindi solo l’8% del tempo della sua giornata impegnato nell’allenamento.
Mentre il 92% è esterno all’allenamento, esterno alle competenze del tecnico, ma anch’esso è fondamentale per la riuscita di tutto il suo progetto di miglioramento.
L’atleta vincente quindi è quello che riesce ad ottimizzare non solo le due ore di allenamento ma le ventidue ore dove l’allenamento è nascosto, ignorato.
È l’allenamento invisibile.
Anche un atleta vincente dovrà migliorare, dovrà cercare dapprima miglioramenti più generali, poi man mano più specifici e, quando si è al top della forma, cercare i miglioramenti anche nei dettagli, nei miglioramenti marginali.
L’allenamento invisibile
Dave Brailsford, prima dei Giochi Olimpici di Atene del 2004 era il responsabile della performance nel ciclismo su pista della squadra del Regno Unito.
In quegli anni decise sarebbe stato quello il momento giusto per iniziare ad introdurre questo nuovo approccio nel movimento ciclistico britannico. Inizio, non esente da uno scetticismo generale, ad applicare le evidenze scientifiche al campo, in ogni campo.
Dave, pioniere dei Marginal Gains, riteneva che “tutto” fosse importante, anche misurare la pressione atmosferica all’interno dei velodromi per calcolare, con l’aiuto della fisica, il giusto livello di gonfiaggio dei tubolari delle biciclette.
Certo, dirai, un eccesso di perfezionismo ma poi, nello sport, quello che conta davvero sono i risultati.
Vediamo allora come andò a finire e portiamoci a casa una esperienza davvero significativa.
In quegli anni il Regno Unito nel ciclismo su pista era molto meno di un outsider visto che dal 1908 le medaglie d’oro erano un lontano ricordo.
Che Dave non fosse uno sprovveduto divenne lampante alle Olimpiadi di Atene: la Gran Bretagna, infatti, conquistò due medaglie d’oro, il miglior risultato dal 1908.
Un primo segnale che faceva capire che i tempi erano decisamente maturi.

I Marginal Gains di Dave Brailsford
E la strategia dei dettagli, unita ad un allenamento sempre più efficiente ed evidence based, portò negli anni successivi numerose medaglie d’oro sia a Pechino nel 2008 che a Londra 2012, 16 in tutto.
Non poteva più essere un caso ed i “marginal gains” di Dave divennero il faro dove puntare l’attenzione, non solo da parte dei tecnici ma anche dagli scienziati.
“Adesso mi ascoltano perché sono arrivati tanti risultati”, diceva in un video di qualche anno fa, “ma all’inizio non era così. Non c’era la volontà di remare nella stessa direzione. Quando oggi noto qualcosa che secondo me non va in una delle biciclette dei ragazzi, il meccanico mi ascolta, controlla e mi ringrazia se gli ho segnalato qualcosa di utile; invece, fino a poco tempo fa, ricevevo risposte piccate, mi veniva chiesto di pensare alla mia zona di competenza senza invadere le altre”.
Dave Brailsford
Brailsford aveva avuto un’idea semplice, ma unica: cercare i dettagli, migliorarli e poi metterli insieme.
Quando l’atleta arriva a livelli molto elevati della sua prestazione, infatti, il miglioramento complessivo è sempre più difficile, non che sia impossibile migliorare, ma saranno miglioramenti non più a doppia cifra ma a porzioni dello zero virgola, quindi miglioramenti marginali.
I marginal gains però, essendo molto piccoli e diffusi ovunque, hanno bisogno di una visione complessiva dello staff, dell’atleta e di qualunque cosa circondi l’atleta nelle 24h.
Per Dave, tutto era importante e tutto decisivo: dal cuscino utilizzato durante la notte, alla colazione, all’abbigliamento, all’equipaggiamento, alla gestione dello stress, ed ogni altro dettaglio che poteva condizionare l’atleta o influenzarne le sue prestazioni psicofisiche durante le 24 ore.
Nelle 24h, se ci pensiamo, non tutto è utile. Tanto è inutile, tanto è superfluo.
Focalizzarsi solo su quello che è davvero utile alla riuscita dell’obiettivo diventa la priorità.
Una scelta che, vista così nel suo complesso, non è più legata alle sole prestazioni sportive ma anche alla vita d’impresa, al management, alla scuola.

Non tutto però, conta.
Diceva Albert Einstein, in una delle sue frasi passate alla storia:
Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato.
Se guardiamo le prestazioni sportive più recenti alcuni studi attribuiscono agli sviluppi tecnologici in attrezzature semplici, come il materiale usato nel lancio del giavellotto salto con l’asta o il giavellotto, un miglioramento dell’indice di miglioramento di circa il 30%, mentre l’indice associato ai miglioramenti aerodinamici nel record di un’ora era di circa il 100%.
Miglioramenti evidenti anche per gli sport di Endurance sono stati attribuiti all’impresa di Eliud Kipchoge (1h59’40” il 12 ottobre 2019 in un tentativo di record sulla maratona stabilito a Vienna) dove un paio di scarpe speciali con la suola in fibra di carbonio e l’imbottitura di schiuma, e cinque persone davanti a lui disposte a V per un discorso prettamente aerodinamico hanno fatto la differenza.
E’ il tempo più basso possibile nella maratona?
Forse.
Lo studio sui “marginal gains” ha ipotizzato una prospettiva futura di ulteriore miglioramento stimata, per alcuni, dai due ai sei minuti.
I Marginal Gains nell’atleta, da dove iniziare?
Proviamo quindi a “mettere il turbo”, cioè fare qualcosa in più, quel bottone che magari non si pensa di avere ma che consente di sfruttare tanta energia in più.
Immaginiamo oggi di avere un atleta, immaginario e lo chiamiamo Davide.
Percorso di Davide…
Anamnesi
Verifica di tutte le informazioni sulla storia dell’atleta
Verifica delle ipotesi
Studio delle possibili interferenze e conferma sugli allenamenti pregressi
Nutrizione e Bioenergetica
Verifica del fabbisogno energetico sugli obiettivi della prestazione
Analisi dei Marginal Gains
Verifica completa di oltre 30 parametri “nascosti” nelle 24h dell’atleta
Attivazione di tutti i nuovi processi di miglioramento
Tutto quanto è stato rilevato “in deficit” sarà oggetto di attenzione, dalla nutrizione al sonno, dallo stress al respiro, dalla concentrazione ai massaggi…

Davide ha 24 anni ed è un agonista del nuoto, ma tu lascia stare lo sport perché questo esempio si può adattare tranquillamente ad ogni situazione.
Nel mio libro Formula HIIT ho fatto una analisi molto approfondita di come si sviluppa una anamnesi ed una strategia EBT (Evidence Based Training).
Ritorniamo a Davide, oggi è uno specialista in piscina su 1500 m però vuole dedicarsi a gare di endurance, più lunghe e in acqua libere: mare, lago ecc.
L’obiettivo è specializzarsi sui 5000, una gara da circa un ora per atleti di élite. In piscina però è completamente diversa dalle acque libere.
In piscina si è da soli in corsia, ogni 50 m ci sono le virate, si nuota con la respirazione laterale e si segue la linea sul fondo in acque sempre calme.
Poi ci sono le acque libere, il mare, dove cambia tutto: c’è il contatto con l’avversario dove in ogni momento volano bracciate sui denti, gomitate ovunque, occhialini che volano, schiuma dappertutto, onde che ti fanno perdere orientamento e direzione, avversari che vanno in fuga e non ti accorgi, respirazione anche frontale per capire dove andare… e poi c’è il nuoto.
Quindi oltre all’aspetto tecnico e metabolico c’è tutto l’aspetto legato all’esperienza che è da allenare “oltre” tutto quello che si pensava di sapere già.
E’ quasi uno sport differente.
Questo argomento è in
Formula 24h
L’anamnesi sportiva dell’atleta
La parola anamnesi deriva dal greco “ricordo”. La parola “anamnesi” è più frequentemente usata in medicina e si intende la raccolta di tutte le informazioni, ricordi o percezioni (nel presente e nel passato) che aiutano il medico (insieme all’esame obiettivo) alla definizione di una diagnosi di una certa patologia e, in presenza di dubbi, verso un gruppo specifico di esami diagnostici.
Grazie alle domande l’anamnesi è fondamentale, soprattutto la prima volta che si incontra un paziente, dal momento che egli – per il professionista – è, dal punto di vista clinico, un perfetto sconosciuto.
Nel caso di atleti, l’anamnesi non ha l’obiettivo di diagnosticare una malattia ma, inversamente, di verificare in base alla situazione esistente, i potenziali margini di miglioramento per l’atleta.
I margini di miglioramento dell’atleta.
Davide ha alle spalle 15 anni di nuoto agonistico con non meno di 2ore di allenamento tutti i giorni, anno dopo anno. Tanti allenamenti, ma anche ben poche variazioni.
Il primo elemento che salta subito alla mente è proprio questo: ogni nuovo adattamento si è basato sul volume.
L’allenatore, man mano che Davide cresceva, cercava di farlo migliorare aumentando il volume (nel nuoto sono i chilometri, in altri sport sono chili sollevati e così via).
Il volume è sicuramente una leva importante nella ricerca di prestazioni ma ha una serie di svantaggi:
- nel tempo perde di efficacia
- riduce il tempo per l’atleta, anche per attività sociali
- riduce le energie dell’atleta per altre attività
- porta ad un esaurimento costante delle riserve energetiche
I Problemi di Davide nella Prestazione
Oggi la richiesta di Davide è però ambiziosa, cambiare disciplina puntando a competere ad alti livelli.
Sempre dalle domande sono sorti altri elementi utili al ragionamento, ad esempio:
- l’atleta soffre le fughe, non riesce a gestire i cambi di ritmo
- l’atleta soffre le partenze veloci e tende a rimanere nelle retrovie o seguire il gruppo di testa
- l’atleta soffre i finali competitivi
- l’atleta ha difficoltà a recuperare dopo gare di oltre un ora, per qualche giorno
- l’atleta ha difficoltà a prendere sonno
- l’atleta sembra perdere massa muscolare, insieme al vigore percepito
Davide è un caso non reale, ma è molto simile a quanto riscontro giornalmente con gli atleti in Maxima Performa, la motivazione è alta ma le energie sempre meno ed i risultati diminuiscono nel tempo.
Con un aumento di frustrazione sempre più pesante.
Bene, ma il problema non lo vedo neanche in questo caso. E’ una normale situazione che la fisiologia la spiega in maniera perfetta: l’atleta non è condizionato agli obiettivi agonistici.
Insomma, anche se Davide si allena per ore al giorno, non è allenato.

La Fisiologia non pratica sport
In questi anni è una frase che ho detto tante volte nei miei video del mio canale YouTube, pensiamoci un attimo:
alle cellule, ai mitocondri, alle singole fibre muscolari importa davvero di essere in acqua, in palestra o sulla bike?
Assolutamente no, la fisiologia non pratica sport.
Iniziamo quindi a riflettere, con un ragionamento critico basato su evidenze scientifiche, quali possono essere le soluzioni ai problemi.
- Analisi delle difficoltà nei cambi di ritmo
Sulla base di questo comportamento che l’atleta ha spesso in gara ci possono essere alcune ipotesi:- Deficit di adattamenti centrali o di VO2max
- Deficit di adattamenti centrali di densità capillare e/o di estrazione di ossigeno
- Deficit enzimatici nei collegamenti dei metabolismi energetici aerobico<->anaerobico
- Deficit a carico del metabolismo anaerobico lattacido
- Analisi degli allenamenti pregressi
Sulla base di queste ipotesi si verifica, con ulteriori domande, se l’atleta ha effettuato allenamenti nel passato recente (fino a 6 mesi) che potevano creare adattamenti adatti a risolvere quel dato problema, ad esempio:- Allenamenti HIIT lunghi (fase attiva tra 1 e 2 minuti) con recupero attivo, oppure
- Allenamenti HIIT medi (fase attiva entro i 60″) con recuperi passivi fino a 10″, oppure
- Allenamenti HIIT brevi e massimali (fase attiva fino a 30″) con recuperi passivi fino a 4 minuti, oppure
- Allenamenti HIIT scalari, oppure
- Allenamenti HIIT con fase intensa a 45″ e recupero attivo a 2 minuti in soglia
Questi allenamenti hiit possono infatti (almeno parzialmente) farci capire che gli adattamenti necessari erano stati pianificati
- Analisi degli allenamenti necessari nel futuro uniti al fabbisogno nutrizionale
Il lavoro si sposterà quindi sulla periodizzazione nutrizionale, ovvero il perfetto abbinamento tra nutrizione sportiva e allenamento sportivo. - Applicazione delle nuove strategie all’atleta
Da questo momento si adotteranno tutte le nuove strategie, per risolvere uno-ad-uno i problemi indicati in precedenza (clicca per rivedere quali erano) e quindi andare a risolvere ogni singolo aspetto, ad esempio io farei queste cose:- Fabbisogno energetico con nuova dieta personalizzata con il nutrizionista sportivo
- Fabbisogno energetico per il recupero con integrazione sportiva post allenamento
- Fabbisogno energetico per il recupero dell’Overreaching (a medio termine)
- Riequilibrio della quantità di Sonno Profondo per arrivare al 20% minimo della durata notturna di sonno.
- Riduzione dello stress e della Fatica Mentale
- Controllo della Frequenza Cardiaca a Riposo e del recupero da stress.
- Verifica costante dell’attivazione del Parasimpatico con la HRV Variabilità Cardiaca.
- Programmi di recupero con massaggi, stretching e respirazione
- Verifica dell’efficacia dei processi biologici di Supercompensazione
- Strategie pre-gara di Tapering avanzato

La Fisiologia non usa le tabelle
L’allenamento è il più delle volte associato a tabelle di allenamento pre-costituite.
- A cosa serve l’allenamento?
A creare nuovi adattamenti fisiologici, ovvero delle modificazioni profonde nell’organismo che consentiranno all’atleta di fare di più e meglio rispetto al passato.
E magari anche a vincere. - A cosa serve la Fisiologia?
A capire come creare i nuovi adattamenti indotti dall’allenamento. Quindi allenamento e fisiologia viaggiano insieme, ma non sono la stessa cosa. L’allenamento ha bisogno della fisiologia altrimenti non “funzionerà”.
Quindi la fisiologia non usa le tabelle
Un esempio al volo, scritto per te.
Mettiamo il caso che tu sia un atleta di endurance, stai correndo (o pedalando, nuotando, pagaiando, remando etc…) ad una certa intensità, esattamente al fianco di un paio di avversari, entrambi decisi a primeggiare su di te.
In questo momento tu avrai determinati valori fisiologici, ad esempio:
- Frequenza cardiaca 178 battiti/minuto (98% della Frequenza Cardiaca Massima)
- VO2 al 99% del massimale
- Lattato a 8,8 mmoli/litro
- Frequenza respiratoria a 48 cicli al minuto (inspirazione,espirazione)
- Saturazione di ossigeno al 90%
- RPE a 6
- Temperatura cutanea a 38,5°
- Disidratazione al 3%
Anche se ora siete in 3 e correte alla stessa velocità non puoi sapere i valori dei tuoi avversari.
Quindi non puoi sapere se puoi provare una fuga, rimanere in attesa, saltare un rifornimento, aspettare il finale e così via.
Ognuna di queste condizioni è basata sui valori fisiologici e non solo sulla motivazione, ad esempio in base ai tuoi livelli precedenti la mia valutazione è questa:
Sei completamente cotto, arrivato, sfinito.
Con queste condizioni non ti consiglierei proprio di fare nulla se non “sperare” che anche gli altri avversari stiano “arrancando” come te, al picco di frequenza cardiaca, al massimo di respirazione, al massimo di VO2, al massimo di lattato, al minimo di saturazione, al massimo dello sforzo percepito e senza neanche acqua nel tuo corpo.
I tuoi avversari, invece, pur correndo al tuoi fianco potrebbero avere valori fisiologici diversi e quindi riuscire a :
- correre ancora per più di mezz’ora senza accumulare fatica e sollevare le frequenze cardiache.
E tu no perchè sei già al massimo - mantenere il lattato a 5 mmoli di lattato e provare a fare una o più fughe con più buffer.
E tu no perchè sei già a 9 mmoli. - saltare un rifornimento e guadagnare qualche secondo su di te.
E tu no, perchè sei già al 3% di disidratazione
E così via, per ognuno dei valori fisiologici che fanno di te un atleta “diverso” dagli altri, anche se apparentemente pensi di essere uguale perché corri alla stessa velocità
La Fisiologia parla solo con te
Questo è il risultato principale di allenarsi con le tabelle, tutto uguale per atleti diversi.
Quindi l’atleta fa dei cambi di ritmo passa con naturalezza, come se fosse un cambio automatico della tua automobile, tra i vari metabolismi energetici scegliendo quello più adatto ed efficiente a quel dato momento: ossidativo, glicolitico, ossidativo, glicolitico…
Ma se l’atleta non ha mai allenato questa caratteristica, semplicemente non ci riuscirà.
- Subirà un attacco, una fuga, un cambio di ritmo.
- Proverà a resistere.
- Non ci riuscirà.
Gara finita.
In Maxima Performa ho due percorsi differenti:
- Sono in partnership con un allenatore/tecnico/preparatore e ragioniamo insieme su nutrizione, allenamento, fisiologia e maginal gains
- Seguo direttamente l’atleta effettuando direttamente tutti gli interventi su nutrizione, allenamento, fisiologia e maginal gains
In entrambi i casi c’è solo una cosa che conta: il risultato finale.
Ma le tabelle, mai. Quelle nel mio mondo proprio non esistono e per tutti gli atleti chiedo sempre di fare una cosa: buttarle via.
Sulla base dell’anamnesi sportiva e nutrizionale, sul diario alimentare e su tutti i parametri che ho raccolto allora costruirò il nuovo percorso integrato.
Insomma, solo a quel punto riscriverò le “tabelle” ma saranno individuali e costruite solo ed esclusivamente per te, per Davide o Giulia.
Se sei un atleta alla ricerca di nuove strategie di allenamento e nutrizione ora puoi accedere ai servizi avanzati di Maxima Performa
Conclusioni
L’atleta si impegna sempre tantissimo, fino allo sfinimento. Però a volte non tutto serve.
Molti mi dicono “io mangio sano”, ci tengo alla nutrizione.
Ma che vuol dire mangiare sano?
Il Davide del nostro esempio dice “io mangio solo fatto fette biscottate integrali, anche la pasta è integrale e poi vado al supermercato sotto casa e prendi prodotti freschi”.
Fantastico, questo per Davide vuol dire mangiare sano, per me invece è la dimostrazione che con la nutrizione ed al suo fabbisogno energetico non c’entra assolutamente niente
Stessa cosa sul “dormo come un sasso”!
Cosa vuol dire? I sassi non fanno gare e non si stancano.
Basterebbe vedere un tracciato delle fasi del sonno per capire che magari il sonno profondo è di qualche decina di minuti per notte o che la frequenza cardiaca minima si raggiunge solo alle 5 del mattino o che la sveglia è sempre in fase N3 del sonno e così via.
Solo risolvendo queste tre cose in qualche settimana l’energia salirebbe ad alti livelli.
Per ogni atleta oggi possiamo capire qualcosa ed intervenire per migliorare la prestazione, ma i veri miglioramenti si fanno passo-passo controllando tutti i piccoli marginal gains come ho scritto nel mio libro Formula 24h.
L’allenamento, da solo, può non bastare. E tu, cosa ne pensi?
Scrivi nei commenti se hai qualche su quello che stai facendo oppure contattami in privato su Maxima Performa per una consulenza più avanzata, nel mentre grazie per aver letto l’articolo fino a qui… metti un tuo “mi piace” o condividilo sui social.
Grazie ancora.
Referenze
- Sleep, Recovery, and Performance in Sports – Raman K Malhotra – Neurol Clin 2017 [LINK]
- Biomarkers in Sports and Exercise: Tracking Health, Performance, and Recovery in Athletes – EC LEE et al. – J Strength Cond Res 2017 [LINK]
- An Integrated, Multifactorial Approach to Periodization for Optimal Performance in Individual and Team Sports – I Mujika et al – Int J Sports Physiol Perform 2018 [LINK]
- Low Energy Availability in Athletes: A Review of Prevalence, Dietary Patterns, Physiological Health, and Sports Performance – D Logue et al. – Sports Medine 2018 [LINK]